Sapete chi è Alexandra David-Néel? Se ci conoscete, sapete che è colei che dovrebbe aver pronunciato la frase che utilizziamo fin dall’inizio per accompagnare il nostro progetto, ovvero:
Chi viaggia senza incontrare l’altro, non viaggia, si sposta.
Se cercate su Wikipedia scoprirete che è una donna di nazionalità francese e belga, morta nel 1969 all’età di 101 anni e che la sua “carriera” può essere riassunta con: anarchica, massone, orientalista, cantante di lirica, esploratrice, tibetologa, buddista, giornalista e scrittrice. Queste poche righe, per quanto asettiche e didascaliche, dovrebbero già farvi brillare gli occhi. Stiamo parlando di una donna, nata a metà ‘800, che non ha vissuto semplicemente a lungo, ma è riuscita a vivere intensamente, perseguendo i propri sogni e le proprie aspirazioni senza piegarsi alle convenzioni sociali.
Certo, era ricca. Noi siamo molto fortunati ad essere nati in un epoca e in una parte del pianeta in cui anche se non disponi di grandi fortune puoi scegliere di viaggiare, di investire nel lusso del viaggio. Nonostante le disponibilità economiche, non tutti i contemporanei di Alexandra viaggiarono con la stessa intensità, dedizione e senso di rinuncia. In particolare, una donna di fine Ottocento non doveva solo aver il coraggio di fare questa scelta di vita, ma anche quella di mettersi contro le aspettative della società del tempo, dando scandalo o nel migliore dei casi, diventando la freak della borghesia.
Alexandra dimostra di essere una donna fuori dagli schemi già all’età di 15 anni: scappa durante una vacanza in famiglia in Belgio, perché vuole arrivare in Inghilterra, ma pochi giorni dopo rinuncia all’impresa, per mancanza di soldi. Nel 1886, a 18 anni, abbandona la casa dei suoi genitori a Bruxelles per viaggiare in sella ad una bicicletta con la quale si dirige in Spagna per poi proseguire in Francia, dove decide di fermarsi un po’, prima di trasferirsi in Inghilterra.
Successivamente frequenta numerose società segrete, movimenti femministi ed anarchici, ma a 22 anni, grazie a una eredità improvvisa, decide di intraprendere il suo primo viaggio verso Oriente. Esplora l’India in lungo e in largo per oltre un anno, dove rimane affascinata dalle tecniche di meditazione. Al rientro prova a far felice il padre, intraprendendo una carriera nella lirica ed a 36 anni si sposa con un ingegnere ferroviario, conosciuto a Tunisi dove aveva intrapreso lo studio del Corano. La vita da nobildonna e l’occidente non fanno per lei, Alexandra non vuole figli perché crede che la maternità sia incompatibile con il suo bisogno di indipendenza e i suoi progetti di studio.
Nel 1911, a 43 anni, riparte quindi per un viaggio Indo-tibetano a cui seguiranno altrettanti viaggi e periodi di permanenza in Asia. Assieme a un monaco tibetano esplora il Giappone, la Corea, la Cina, la Mongolia e il Tibet. Alexandra vuole riuscire ad arrivare a Lhasa e per molto tempo si sposta in incognito, vestita da mendicante, indossando uno zaino, il più discreto possibile. Per non tradire la sua nazionalità e il suo rango sociale, Alexandra non osa portare con sé la macchina fotografica e libri, tuttavia nasconde sotto i suoi stracci una bussola, una pistola e pochi soldi, da utilizzare in caso di emergenza.
Ogni volta la sua storia mi scuote, sento come un brivido lungo la schiena, le vorrei parlare, fare tantissime domande. Sembra incredibile che possa aver fatto così tante cose in soli 50 anni di vita, considerando che ne visse il doppio. Questa donna coraggiosa, caparbia, intelligente, con il viaggio che le scorre nelle vene, è ancora poco conosciuta e invece credo che sia decisamente una eroina, da ammirare e celebrare. Meriterebbe almeno un po’ di notorietà, soprattutto tra le donne e gli uomini che condividono la sua stessa passione. Grazie Alexandra, la tua vita dona ispirazione, ci mostri un universo parallelo, fatto di determinazione, sogni che diventano realtà e spirito di sacrificio. Sei la viaggiatrice per eccellenza.
Lunghissimo preambolo, vero? Ma la vita di questa esploratrice è difficile da sintetizzare e questo approfondimento serve per introdurvi un’istantanea dall’India, arrivata al mio cuore pochi giorni fa. Credo che adesso sia facile capire perché mi sono emozionata tanto leggendo queste righe. Godetevi il racconto di Giacomo Garofalo:
Cartolina dall’Himalaya
Essere ai piedi dell’Himalaya, dormire nella stanza che fu di Alexandra David-Néel (in un albergo che non è cambiato nell’ultimo secolo e mezzo) fa sentire immersi in un romanzo di Agatha Christie.
L’albergo è il Windamere Hotel a Darjeeling, fondato nel 1869 come ostello per i coltivatori di té britannici e trasformato in albergo nel 1939. La famiglia proprietaria è sempre la stessa e alle comodità di un albergo a 5 stelle preferisce invece fornire un’ospitalità immutata nel corso degli anni. Dagli arredi d’epoca ai grammofoni funzionanti, dai camerieri in livrea ai modi affettati, il Windamere permette di rivivere un periodo ormai andato a cui spesso ci si riferisce con nostalgia. Le sue 37 camere di cui 15 suite sono state abitate da capi di stato come l’Aga Khan, ad ereditiere come la principessa del Siam, a grandi esploratori ed avventurieri come Alexandra David-Néel. Alle pareti si possono leggere le loro lettere autografe incorniciate di ringraziamento per il calore ricevuto.
Oggi il Windamere costituisce un ambiente raccolto ed informale dove gli ospiti si scambiano impressioni di viaggio, immersi nelle piantagioni di té, e con una vista insuperabile del Kangchenjunga, la terza cima del pianeta con i suoi 8.586 metri.
Le lune di miele sono benvenute e le prenotazioni vanno fatte con alcuni mesi di anticipo: vista la presenza di alcuni membri di famiglie reali europee, la direzione si prende un paio di settimane per accettare o meno gli ospiti per garantire la necessaria discrezione e cordialità.
Perché l’ho scelto: dopo il lusso senza limiti (e senza senso) degli Oberoi, il Windamere incarna al meglio quello che cercavo da un albergo che si affaccia sull’Hymalaya. Nelle camere non ci sono tv o telefoni, e nonostante in terrazza ognuno dia un’occhiata al suo iPhone, da quando sono arrivato qui non ho sentito squillare un telefono.