I tredici giorni goan sono passati davvero in fretta. Il volo per il Kenya ci attendeva il 2 Gennaio alle ore 3.45 del mattino, un orario davvero scomodo. Siamo partiti da Mapusa con un bus che impiega ben dodici ore per percorrere 580 chilometri. Avevamo optato per quest’ultimo solo perché i treni in quei giorni erano completamente pieni. Questo non ci impediva di provare ad andare in stazione per tentare di ottenere un posto all’ultimo minuto, ma essendo ben carichi di bagagli e avendo l’aereo a pochissimi giorni di distanza non ce la siamo sentita di non prenotare un mezzo qualsiasi.
A Mapusa siamo arrivati con largo anticipo ed abbiamo fatto bene perché tutti i bus (sono davvero tantissimi) partono dal piazzale di Market Road, a poca distanza dalla rotonda principale, la “Hutatma Chowk”. Il traffico e la quantità di persone che partono da qui è impressionante, soprattutto se si considera che quasi tutte vanno verso Mumbai. La compagnia dei bus con cui abbiamo viaggiato è la Paulo Travels e purtroppo ci siamo trovati molto male.
La giornata evidentemente era partita con la luna storta, perché dal nostro arrivo a Mapusa ne sono successe di mille colori! Appena arrivati ci siamo assicurati che il nostro bus non fosse in ritardo o non fosse stato cancellato. Al desk dell’agenzia ci hanno detto che era tutto regolare e che dovevamo aspettare davanti al loro ufficio. Questo teatrino si è ripetuto tre o quattro volte, proprio perché dopo due mesi in India sapevamo che non si è mai abbastanza sicuri. Durante la lunga attesa Alessandro ha avuto bisogno del bagno; io sono rimasta con gli zaini e lui è andato verso l’edificio del mercato comunale. Quando è tornato aveva una espressione dolorante… cosa era successo? Uscendo dai bagni era scivolato sulle scalinate atterrando sulla schiena e sbattendo su ogni singolo spigolo. Il dolore è stato lancinante e per qualche secondo aveva perso il respiro senza riuscire a rialzarsi. Ovviamente gli indiani attorno a lui non lo hanno minimamente aiutato né si sono preoccupati di capire se stesse bene o meno. Alessandro per un attimo ha temuto il peggio, ma per fortuna è riuscito ad alzarsi anche se sapere di aver pulito il pavimento dei bagni con la propria schiena non gli ha fatto per niente piacere.
Quando è tornato iniziava ad essere l’ora di partire, ma ovviamente il bus non arrivava. Oltre alla confusione, è davvero difficile capire su quale bus si deve salire e non c’è neanche molto tempo per individuarlo. Infatti i bus non si fermano sul piazzale, ma semplicemente procedono uno dietro l’altro a passo d’uomo, a volte senza neanche sostare. Quindi l’unico modo per capire quale è il proprio bus è individuare il nome della propria compagnia sulla carrozzeria e poi mostrare il biglietto al controllore mentre si segue il bus, con le borse pronte per essere lanciate nel bagagliaio. Abbiamo fermato tutti i mezzi firmati “Paulo Travels”, ma del nostro nessuna traccia! Così Ale è tornato diverse volte nell’ufficio per chiedere se effettivamente il nostro dovesse partire da lì e perché era in ritardo. Le nostre domande ottenevano sempre la stessa risposta: “non preoccupatevi, sta arrivando, dovete aspettare qui davanti”, ovviamente iniziavamo ad essere davvero nervosi.
Alla fine riceviamo una chiamata, dopo un’ora e mezzo dall’ipotetico orario di partenza da Mapusa: “Dove siete? Il bus vi sta aspettando” …?! Dopo un profondo respiro Ale cerca di spiegare che siamo dove ci avevano detto di stare. Dopo due telefonate e un po’ di incomprensione capiamo che dobbiamo spostarci sul retro dell’edificio che accoglie gli uffici delle compagnie di trasporti. Arriviamo e ci sono due o tre persone della Paulo Travels che appena ci vedono ci rimproverano di essere in ritardo e che gli altri passeggeri sono spazientiti. Altro profondissimo respiro. Loro sono spazientiti? Quelli rimproverati siamo noi? Ci tratteniamo perché anche noi siamo stanchi, così decidiamo di salire, ma scopriamo che i nostri posti non sono quelli che avevamo prenotato (il 3 e il 4, in prima fila per avere più spazio per stendere le gambe). A questo punto non ci riusciamo a controllare, non ci piace quando in India cercano di prenderti così tanto per i fondelli! Diciamo che quello non è il nostro bus visto che non sono liberi i posti che avevamo prenotato e che era evidente che era successo qualcosa, che ci stavano dirottando su un altro bus. La discussione è stata davvero animata, ma ovviamente non abbiamo ricevuto scuse o ammissioni di colpa. Per la prima volta Alessandro ha alzato la voce diventando tutto rosso nel viso. Dopo la botta sulla schiena (che ancora doleva), vedersi trattare da idioti non è affatto divertente. Nonostante avessimo un diavolo per capello non avevamo molta scelta, dovevamo per forza partire quella sera.
Le disavventure non finiscono qui! Durante il viaggio io mi sono sentita malissimo e per la prima volta nella mia vita mi sono ritrovata ad avere bisogno del sacchetto per rimettere. Non ne avevano dati, ma fortunatamente ne avevamo uno nostro; poco dopo anche altre persone si sono sentite male e quindi si sono decisi a distribuirli. Ovviamente non si sono fermati per farci riprendere fiato e nemmeno hanno cercato di rallentare sulle strade più tortuose o deteriorate. Anche Ale non stava benissimo e la schiena non gli dava tregua, insomma è stata davvero una notte da incubo.
Speravamo che gli intoppi fossero finiti, ma ce ne attendevano altri. Il bus su cui eravamo saliti non arrivava fino al centro di Mumbai, ma passava nelle vicinanze dell’aeroporto per poi proseguire verso nord. Al momento della prenotazione, oltre a scegliere proprio i posti numeri 3 e 4, ci eravamo assicurati di aver scelto il bus che ci avrebbe portato a due passi dall’albergo, che tra l’altro costava di più, ma era indubbiamente più comodo. Questo invece si fermava in periferia. Siamo scesi senza sapere dove, giusto per riuscire a prendere un taxi che dopo un’ora e 400 rupie ci ha portato, finalmente, all’ingresso del nostro hotel.
A questo punto inizia il capitolo del nostro capodanno indiano, passato tra piccole gioie e molti dolori.
Volendo lasciare l’India alla grande avevamo deciso, con un po’ di incoscienza, di soggiornare al lussuosissimo “The Taj Mahal Palace & Tower”, della catena alberghiera Taj, una delle più costose e potenti di tutta l’Asia. Proprio il Taj di Mumbai fu il primo hotel della catena ad essere inaugurato, nel 1903 e venne soprannominato “La dama di Bombay”.
Qui sono stati ospiti tantissimi VIP internazionali, tra cui Margaret Thatcher, Il principe Carlo, Jacqueline Onassis, William Jefferson Clinton, David Rockefeller, Robert McNamara, John Lennon e Yoko Ono. I Taj Hotels Resorts and Palaces comprendono 93 hotel dislocati in 55 sedi in tutta l’India, più altri 16 hotel dislocati in tutto il resto del mondo.
Il Taj Mahal Palace & Tower è posizionato nella zona più esclusiva di Mumbai, ovvero Colaba, famosa per lo shopping e i locali alla moda. L’hotel si affaccia sulla bellissima e imponente “Porta dell’India” e sul porto. Le meravigliose camere sono disposte nello storico palazzo e nella torre moderna, costruita nel 1973. Noi abbiamo soggiornato nel palazzo perché mantiene un fascino struggente che non ha nulla a che fare con il più moderno e insipido grattacielo. Qui dentro c’è di tutto: negozi di lusso, un centro benessere, una piscina, una palestra e ben dieci ristoranti.
La gioia di sentirsi come un principe e una principessa è durata poco, perché già nel pomeriggio entrambi avevamo la febbre e nessuna forza per stare in piedi. Così, invece di fare un mini-tour di Mumbai e partecipare a un lussuoso party di fine anno nella grande metropoli indiana, siamo rimasti in camera, sotto le coperte, guardando la televisione e gustando il nostro cenone di capodanno composto da brodino e purè di patate. Evviva la giovinezza!
Il giorno seguente abbiamo cercato di riposarci il più possibile visto che ci attendevano più di 24 ore di viaggio, tra taxi, aerei e treni. Siamo arrivati all’aeroporto alle 20 e con nostra gioia abbiamo scoperto che non potevamo entrare fino a quattro ore prima dell’orario di partenza del nostro aereo. A disposizione di chi arriva troppo in anticipo c’è una sala d’aspetto tristissima, con un solo cafè e un bagno tenuto malissimo. Io avevo ancora la febbre e stare in quello stanzone freddo e vuoto ha messo davvero a dura prova la nostra pazienza.
A rendere quella situazione ancora più bizzarra c’è stato uno scambio con un signore indiano, anche lui nell’attesa di partire. Ci ha chiesto di prestargli una penna e siccome ne avevamo tantissime (le avevamo prese per regalarne una, di tanto in tanto, ai bambini) gli abbiamo detto che la poteva tenere. Lui ci ha ringraziati ed ha iniziato a fare domande. Ha fatto ad entrambi una specie di test psicologico, ci chiedeva cose come: “Cosa significa per te viaggiare?” e “Perché dici che la musica fa parte del tuo essere?”. È stato uno dei momenti di più alta spiritualità durante il viaggio in India… questo la dice lunga!
Quando finalmente ci siamo potuti dirigere al check-in, al desk abbiamo passato qualche minuto di puro terrore. La hostess di terra ci ha chiesto se avevamo il visto per entrare in Kenya, gli abbiamo spiegato che non lo avevamo perché non ce ne era bisogno, potevamo farlo appena giunti a destinazione. Lei per due o tre minuti ha sostenuto che invece era necessario a loro per darci il permesso di uscire dall’India. Ma quando mai un paese fa tutte queste storie quando è il momento di andarsene? Infatti dopo essersi consultata con i suoi colleghi ci ha gentilmente informato che non c’era nessun problema. Meno male, ci mancava pure che l’India ci tenesse in ostaggio!!!
Al momento dell’imbarco, però, tutti gli intoppi, le arrabbiature e i momenti “no sense” indiani si sono come volatilizzati. Eravamo davvero emozionati di cambiare paese, ma anche grati per tutte le esperienze, negative e positive, che avevamo fatto in India, un paese “Incredible” in tutti i sensi.
5 Comments
[…] Capodanno a Bombay […]
Nooo, cenone di capodanno con brodino e purè, nooo!
È sempre bello leggervi, adesso che ho un blog posso uscire dall’ombra! :)
Grazie! Eh, il cenone con il brodino e a nanna alle 24.30 è stato tristissimo, però almeno eravamo circondati dal lusso. Come ho detto io ad Ale: abbiamo sfruttato ogni minimo euro spesi per quella prigione dorata! Ma come “adesso che ho un blog posso uscire dall’ombra”??? dovevi farlo anche prima ;) i commenti tra blogger son belli, ma quelli di utenti non blogger sono ancora meglio!
Un vero percorso a ostacoli!
E poi stare per la prima volta in un albergo di lusso e non goderselo….!!! What a pity!
Però almeno ci siamo goduti la stanza e il bagno in marmo fino all’ultimo centimetro quadro ;)