Tra Khajuraho e Varanasi abbiamo preso un treno notturno e l’unico aspetto negativo è che stavolta la stazione di partenza non era quella di Varanasi, ma quella di Jhansi, distante ben due ore e mezzo dalla città dei templi dell’amore. Se vi ritroverete a pianificare parte del vostro viaggio con l’agenzia (anche solo per prenotare i treni) vi consigliamo di controllare bene questi aspetti. Non abbiamo davvero capito il perché di questa scelta, però vi possiamo dire che è stata solo dispendiosa e stancante. Per arrivare a Jhansi abbiamo dovuto prendere un taxi che ci è costato circa 1700 rupie e la strada è davvero pessima. L’unica cosa positiva è che questa stazione ha una sala d’aspetto per le classi superiori abbastanza decente, con comodi divani e qualche ventilatore per smorzare l’afa. La notte in treno è passata velocemente, ma anche stavolta il mezzo era in ritardo di almeno due ore. A Varanasi ci attendeva un taxi organizzato dall’agenzia di Delhi con una guida che ci avrebbe accompagnato a visitare i tesori della città. Per prima cosa però siamo andati in albergo che abbiamo scoperto essere piuttosto lontano dal centro della città che si sviluppa lungo il fiume sacro. Il New Temples Town Hotel non sembra male dalla hall, ma appena si salgono le scale si rivela come un posto molto sporco e mal tenuto. Prima di poter salire in camera ci hanno fatto aspettare davvero tanto e poi ci hanno assegnato la camera 206, ovvero la camera degli orrori. Piccola, buia, sporca e piena di muffa sulle pareti e sulla porta del bagno. Volevamo lamentarci, ma sapendo quanto tempo e fatica ci vuole per ottenere un’altra camera abbiamo deciso di soprassedere. Avevamo due ore per rinfrescarci prima di andare a mangiare qualcosa e iniziare il nostro tour, ma già dopo un’ora eravamo pronti nella hall. Varanasi è la città sacra per eccellenza per gli Hindù, che devono visitarla almeno una volta nella vita con lo scopo di ricevere il darshan e bagnarsi nelle acque sacre del Ganga. La città di Shiva è antica come Babilonia ed è cara anche ai buddisti, dato che a Sarnath il Buddha pronunciò il suo primo sermone detto dharmachakra. Dopo aver mangiato qualcosa ci siamo diretti proprio a Sarnath. Qui il Buddha spiegò le quattro nobili verità, la dottrina della coproduzione condizionata e il concetto di non-sé ai cinque asceti. Successivamente furono costruiti una serie di edifici religiosi (stupa, monasteri, templi) e anche una colonna commemorativa (Ashokan Pillar) del sermone di Gautama Buddha, rappresentante quattro leoni che sorreggono la ruota del Dharma, attualmente utilizzato come stemma dell’India. Abbiamo visitato il Museo Archeologico di Sarnath, fondato nel 1910, dove è appunto conservata la colonna di Ashokan e contiene statue di epoca Kushana, Gupta e Pala. Qui non è possibile fare foto e la visita è stata un po’ noiosa perché le targhe non spiegano niente delle statue, ma si limitano a descriverle con la sola aggiunta del periodo storico. Il biglietto d’entrata però non è eccessivo e la visita dura al massimo una quindicina di minuti. Successivamente ci siamo diretti verso il magnifico Dhamek Stupa e i resti di un antico monastero buddista il Dharmarajika Stupa.
Purtroppo abbiamo dovuto fare in fretta perché il monumento stava chiudendo, ormai era già l’ora del tramonto, ma c’erano ancora molti credenti e monaci che si dilungavano nelle preghiere e nella visita di questo luogo. Il Dhamek Stupa risale al periodo Gupta (IV-VI secolo) ed è una torre alta 43 metri, con un diametro di 28 metri posta sul luogo dell’esposizione del Dhammacakkappavattana Sutta, il primo sutra del Buddha. Alla sua base ci sono tantissime candele e incensi accessi ognuno legato a una preghiera.
Il Dharmarajika Stupa, costruito prima del regno di Aśoka (III secolo a.C.), fu smantellato nel XVIII secolo per utilizzarlo come materiale da costruzione, ad oggi rimane solo il basamento mentre il reliquiario viene tutt’ora esibito a maggio durante la festa del Buddha Purnima.
Sarnath è diventato un luogo di pellegrinaggio, sia per i buddisti provenienti dall’India che dall’estero. Alcuni paesi in cui il buddhismo è una delle principali religioni (se non la dominante), hanno costruito qui templi e monasteri nello stile tipico del proprio paese di origine. Così, pellegrini e visitatori hanno la possibilità di vedere una panoramica dell’architettura buddista proveniente da culture diverse. Tra questi paesi ci sono: Thailandia, Giappone, Tibet, Sri Lanka e Myanmar. Noi siamo riusciti a vedere solo il tempio Thailandese che ha anche eretto un maestoso Buddha.
Prima di tornare a casa siamo riusciti a vedere il Mulaghandakuti Vihara ovvero un tempio moderno, costruito nel 1931, che contiene affreschi della vita di Buddha e una grande campana. All’esterno è stato ricostruito il probabile scenario dell’illuminato mentre parla ai suoi discepoli e il discorso è tradotto in molte lingue, tutte orientali, su alcuni grandi targhe.
Distrutti, ma contenti di aver visitato alcuni dei monumenti importanti nella cultura buddista, siamo tornati nella nostra piccola e buia stanza senza sospettare che il peggio dovesse ancora arrivare! Entro per prima io in camera, perché Ale si era fermato un attimo all’entrata, e non appena ho acceso la luce ho avvistato tre o quattro simpatici insetti tra il letto e il bagno. Decido subito che per me è troppo, chiudo la stanza e aspetto che mi raggiunga Alessandro. Quando è arrivato gli insetti erano già raddoppiati e anche lui ha deciso che stavolta non saremo stati zitti. Da qui ad ottenere un’altra stanza (senza la muffa alle pareti e, forse, senza insetti) c’è voluta quasi un’ora, dopo l’intervento telefonico di Raj di Delhi Tours e quello, pressoché inutile, della giovane guida. La mattina successiva avevamo la sveglia alle 4.30 per fare il giro in barca sul Ganga (o Gange, in inglese). Alzarsi così presto è stata dura considerando la nottata precedente passata in treno e i problemi che abbiamo avuto in albergo, ma ne è valsa davvero la pena!
Non è possibile arrivare fino ai ghat (scalinate dalle quali si accede al fiume) con le auto o i richshaw quindi è necessario fare un pezzo a piedi e anche se è prestissimo le strade sono affollate di turisti e pellegrini che già cantano all’unisono avvicinandosi al fiume sacro. Ci sono all’incirca 80 ghat, ognuno con il suo lingam di Shiva, e idealmente un Indù dovrebbe pregare ad ognuno di essi. Vicino al fiume vengono offerti dei lumini ad olio e fiori e, anche se noi non li abbiamo acquistati, è pura magia vederli scorrere lentamente sopra il pelo dell’acqua. Se non avete già organizzato l’itinerario in barca, vi consigliamo di contrattare un bel po’ prima di accettare, anche perché sono tantissimi i barcaioli, quindi potrete tranquillamente provare a cercare il miglior prezzo.
Mentre il sole sorge timidamente, i pellegrini iniziano a bagnarsi nel fiume e l’atmosfera è rarefatta. Ovviamente sono tantissimi i turisti che fanno questo giro, ma l’esperienza non perde fascino, sopratutto se si osservano i rituali mattutini.
Il giro in barca solitamente arriva fino al Ghat Jalasai, il famoso Ghat dedito alle cremazioni. Qui è proibito fotografare, ma con discrezione si riesce a fare qualche scatto in lontananza.
Concluso l’itinerario sul Ganga siamo risaliti sul Ghat ed abbiamo incontrato due papere ancora intente a sonnecchiare.
Prima di riportarci in hotel la guida ci ha fatto visitare l’Università Induista di Banaras e il tempio che si trova al suo interno. Il campus è pieno di verde, è pulito e tranquillo ed è stato costruito durante la lotta per l’indipendenza indiana. Conosciuta come la Oxford d’Oriente è la più grande università residenziale in Asia, con circa 124 reparti indipendenti. È inoltre possibile visitare il Bharat Kala Bhavan, un museo d’Arte e Archeologia all’interno dell’università. Il tempio in marmo bianco chiamato Vishwanath fu costruito da Pt. Madan Mohan Malviya, il fondatore dell’Università.
Dopo questa visita abbiamo salutato la nostra guida e ci siamo goduti 24 ore in libertà girovagando per il centro di Varanasi, con i suoi piccoli vicoli vicino alle scalinate e le sue trafficatissime strade. Dall’hotel (zona Cantonment) ci hanno sempre chiesto delle cifre folli per raggiungere la zona più vicina ai ghat con i Tuk Tuk: tra le 200 e le 300 rupie, quando in realtà sono più che sufficienti 100. Purtroppo anche cercando di contrattare duramente non siamo riusciti ad ottenere una cifra inferiore alle 150 rupie. Girare per i vicoli dietro ai ghat è meno pericoloso di quanto sembri e si trova sempre qualche turista che indugia in un negozio, pronto a comprare qualche vestito.
In una delle nostre missioni esplorative siamo riusciti a trovare una meravigliosa perla di Varanasi, ovvero la Kautilya Society, una associazione no profit che si prefigge di creare un ponte tra occidente ed oriente, fatto di dialogo e cura per i tesori storici di Varanasi. Si occupano di educazione nelle scuole, ma anche di attivare delle vere e proprie battaglie legali contro chi decide di distruggere il patrimonio storico-culturale della città sacra. Presso la guest house della Kautilya Society è possibile anche soggiornare ad un prezzo davvero conveniente, semplicemente aderendo all’associazione con una sottoscrizione di 200 rupie. Sul tetto di questo edificio si trova un’altra piccola sorpresa, il Filocafé! Qui è possibile gustare un buon espresso, torte fatte a mano, pizza casalinga e altre chicche. Al momento è aperto solo il pomeriggio, dalle 16, ma forse prossimamente apriranno anche a pranzo con un menù un po’ più ampio. Ogni domenica sera viene organizzato un evento musicale o cinematografico ed ogni giorno è possibile usufruire gratuitamente del wi-fi. L’ingresso è consentito ai non membri sono per le prime tre visite, ma considerando che la quota base è solo 200 rupie, consigliamo a tutti di collaborare, nel proprio piccolo, alle attività della Kautilya Society. Quando siamo arrivati al Filocafé abbiamo ordinato un caffè espresso, ma il ragazzo indiano ha cercato di spiegarci cos’è la moka (non c’era l’elettricità), noi gli abbiamo detto che siamo italiani e che sappiamo bene come funziona e che il caffè ci andava bene anche così. Lui non ha perso tempo ed è andato a chiamare una delle rappresentati dell’associazione al momento presente nell’edificio e con estremo piacere abbiamo scoperto che era italiana!
Cristina (a sx nella foto) collabora con l’associazione da diversi anni assieme a suo marito Danilo, i fondatori sono una coppia italo-indiana: Stefano e Vrinda. Sul tetto del Filocafè abbiamo parlato un po’ di tutto, dell’India, di Varanasi, dell’associazione, del nostro blog. Se si è stanchi di parlare, basta rivolgere il proprio sguardo verso gli altri tetti di Varanasi, il cielo al tramonto si colora di migliaia di aquiloni magistralmente domati dai bambini, che passano così le ultime ore prima di cena.
Sui tetti, con lo sguardo riverso sul fiume Ganga, ci sono anche le scimmie che saltano, si spulciano e… meditano! Con questo simpatico ricordo abbiamo lasciato l’India del nord.
7 Comments
[…] Varanasi (Uttar Pradesh) […]
Si,proprio moooolto rilassante.
In particolare l’alba sul Ganga! Si deve fare la levataccia, ma ne vale davvero la pena.
in effetti….mi sembrate un pochino piu rilassati e lo si percepisce anche nel modo in cui raccontate la cronaca della giornata,hotel a parte??!!
Assolutamente si! E Varanasi ci è rimasta nel cuore nonostante l’esperienza con l’albergo!
Beh, davvero interessante questo reportage!
Grazie mille! Varanasi è davvero una delle più belle e affascinanti città del Nord.